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venerdì 19 settembre 2008

Milano che suona: l'Orchestra di Via Padova


Milano cambia pelle, anima e composizione sociale. E la sua musica segue il cambiamento, in bilico tra tradizione e novità.
Canta in spagnolo, serbo, arabo, russo, italiano. Propone musiche tradizionali yiddish e magrebine, ritmi cubani e africani, sterzate jazz e funky, canzoni gitane e dell’Europa dell’est: insomma, ha la musica nel sangue, l'arteria dell'immigrazione milanese. Via Padova: quattro chilometri che attraversano la zona nord-est della città, presidiati da un mese da pattuglie di militari, a vigilare sulla difficile convivenza tra italiani e stranieri. Lungo la via è tutto un susseguirsi di kebab turchi, minimarket asiatici, phone center peruviani e attività cinesi in numero sempre maggiore; gli italiani ti squadrano diffidenti, se ti avvicini anche solo per chiedere un’informazione. L’integrazione sembra una sfida impossibile. Eppure c’è un gruppo di artisti che ha voluto provarci, percorrendo la strada della musica: hanno messo insieme le loro tante e diversissime culture e hanno fondato un’orchestra multietnica. Il nome è venuto naturale: l’Orchestra di via Padova. E come, altrimenti?

«Sono stato un “frequentatore” di via Padova fin dagli anni Ottanta, perchè qui viveva il mio maestro di musica e venivo tutte le settimane a lezione di chitarra. Era già una zona di immigrati, se vogliamo, perché c’erano molte famiglie salite dal meridione negli anni Sessanta – rievoca Massimo Latronico, musicista di origini lucane, quindi anche lui immigrato, come spiega con un sorriso ironico, fondatore e direttore dell’Orchestra. – Poi, per i casi della vita, sono tornato a viverci con la mia famiglia, mi sono ritrovato immerso nella quotidianità di queste diversità, ho visto e vissuto sulla mia pelle la trasformazione sociale che sta vivendo questo triangolo di città, tra via Padova e viale Monza»

Nel triangolo si concentrano provenienze eterogenee, che concretizzano il concetto di città multietnica. «Ciò mi ha suggerito la folle idea di provare a creare un’orchestra multietnica, sulla base delle esperienze parigina di Rue de Barbes o romana dell’Orchestra di piazza Vittorio». I primi passi per mettere insieme un gruppo alla fine del 2005: è bastato lanciare l’idea, e attraverso il passaparola e la conoscenza di altri musicisti, nei bar e nei kebab della zona, qualcuno ha risposto. Poi c’è voluto un anno per arrivare al primo concerto pubblico: da allora l’Orchestra è sempre in evoluzione, ma l’esperimento funziona.

L’Orchestra di via Padova è composta da quindici musicisti di nove nazionalità, e differenti età, formazioni, tradizioni e culture. Ci sono i figli d’arte, come Kristina Mirkovic, 27enne serba diplomata in violino all’accademia di Novi Sad, figlia di un fisarmonicista, nipote di un chitarrista e pronipote di un violoncellista e liutaio, o Yamil Castillo Otero, figlio di un noto percussionista cubano: suo padre Joseito Castillo fu il suo primo maestro. Anche Abdullay Kadal Traore ha alle spalle generazioni di musicanti in Burkina Faso: lui continua la tradizione suonando il balafòn e le percussioni in Italia. Per lui non è difficile confrontarsi con i linguaggi e le tradizioni degli altri: «In Burkina ci sono 62 etnie e ciascuna ha la sua lingua, i suoi strumenti, i suoi ritmi: sono cresciuto in mezzo alla diversità». Aziz Riahi, invece, non ha avuto il supporto della famiglia, quando ha scelto di fare musica: marocchino, figlio di un insegnante di francese, ha cominciato a suonare il violino a sei anni e da allora non ha più smesso, coltivando il sogno di fondare un gruppo di musica tradizionale. Nel suo paese non ci è riuscito, però l’ha fatto a Milano, dove ha conosciuto cinque artisti appassionati della stessa musica e pronti a seguirlo nel progetto: il paradosso è che tutti e cinque sono italiani...Nell’Orchestra ci sono poi la fisarmonica di Kostantino Vornichu e la voce della cantante lirica Tatiana Zazuliak, entrambi ucraini, il violoncello di Walter Parisi, le influenze jazz di Walter Vitale e Marco Roverato, l’unico “milanese da generazioni”. E ancora i fiati degli italiani Raffaele Kohler e Stefano Corradi, dell’estone Helen Saarniit, del peruviano Humberto Amesquita e del cileno Oscar Janez.

«Ognuno di noi ha una storia diversa. C’è chi è venuto per lavorare nel campo musicale, poi si è adeguato a fare altro, chi invece riesce a vivere di musica, grazie ai concerti (ciascuno ha un proprio gruppo, oltre all’Orchestra), magari facendo il deejay, insegnando», racconta Massimo. C’è chi è venuto a Milano perché si è sposato: Yamil e Abdullay, ad esempio, con due ragazze milanesi. C’è chi è venuto per studiare, come Kristina e Helen, che sono iscritte al corso di musicologia. «I due ucraini sono arrivati qui inseguendo il sogno della Scala – continua Massimo –. Tatiana racconta sempre che suo padre sarebbe felicissimo di vederla cantare lì, un giorno...». «Ovviamente senza gli abitanti di via Padova non saremmo qui – spiega Massimo Latronico –. L’idea è nata qui, qui si sta sviluppando il progetto, qui proviamo e qui cerchiamo una sede. “Rapporto con il quartiere” è il rapporto che ciascuno di noi ha con i singoli abitanti e vicini di casa. Maxine, spagnola, è la “mia” edicolante, con lei vado tutte le mattine a prendere il caffè. Le avevo raccontato il mio sogno di fondare un’orchestra multietnica, lei mi ha spinto a provarci e mi ha messo in contatto con alcuni musicisti che vivono in zona». La prima presentazione ufficiale al quartiere è stato un concerto al parco Trotter, nel settembre scorso, primo compleanno dell’Orchestra. Il sogno ora è avere una sede fissa, ovviamente in via Padova, che possa diventare un centro musicale in cui proporre laboratori, stage e corsi, per insegnare a suonare gli strumenti più particolari, o generi musicali che nelle scuole normalmente non si insegnano. Nella Milano che cambia, la musica può essere un linguaggio per conoscersi. E imparare a non temersi.


Di Marta Zanella - per gentile concessione Scarp de'tenis - settembre 2008


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